Sergio Centofanti – Città del Vaticano
Si è spento nel corso della notte Jean Vanier, fondatore de L’Arche, una comunità di accoglienza per persone con disabilità, attiva in tutto il mondo con circa 150 centri: aveva 90 anni. Malato di cancro, era assistito presso una struttura della comunità a Parigi. Papa Francesco è stato informato della sua morte e “prega per lui e per tutta la comunità de L’Arche” ha riferito il direttore ad interim della Sala Stampa vaticana Alessandro Gisotti. Jean Vanier aveva incontrato Papa Francesco il 21 marzo 2014, definendolo uomo del sorriso e dell’incontro. Francesco, nell’ambito dei “Venerdì della misericordia”, il 13 maggio 2016 aveva visitato la Comunità il “Chicco” di Ciampino, legata alla grande famiglia dell’Arche.
Nato a Ginevra il 10 settembre 1928 da genitori canadesi, Jean Vanier diventa ufficiale della Marina, prima britannica, poi canadese. Nel 1950 è spinto a fare qualcos’altro, è attratto dal Vangelo: rinuncia alla carriera militare e inizia a studiare teologia e filosofia. Insegna all’Università di Toronto, ma abbandona presto anche la carriera universitaria. Scopre la sua vera vocazione incontrando Gesù nelle persone più deboli e abbandonate. Nel 1964 fonda l’Arche e nel 1971 contribuisce alla nascita del movimento “Foi et Lumiere” (Fede e Luce). E’ stato anche membro del Pontificio Consiglio per i Laici. Nel 2015 riceve il Premio Templeton, uno dei massimi riconoscimenti mondiali che ogni anno viene attribuito a personalità del mondo religioso.
Le parole di Jean Vanier: i disabili, grandi testimoni di Dio
“La nostra missione – ha detto Jean Vanier in una intervista alla Radio Vaticana – è di incontrare un mondo di estrema debolezza, povertà e sofferenza, persone che spesso sono state rifiutate. Il ruolo dell’Arca è annunciare la buona notizia ai poveri: a loro certo diciamo ‘Dio ti ama’, ma diciamo anche ‘Io ti amo, tu se importante per me’. E’ accogliere in piccole case persone che hanno molto sofferto e rivelare loro che sono qualcuno. Amare qualcuno è semplicemente rivelargli che ha un valore, non tanto fare cose per lui – certo, anche questo – ma stare insieme, mangiare insieme. Gesù nel Vangelo dice: ‘Quando date un banchetto non invitate i vostri amici ma poveri, storpi, ciechi e zoppi’. Questa è una beatitudine. Il nostro scopo è mangiare alla stessa tavola, è diventare amici. Tutta l’opera dell’Arca è dare la possibilità di una vita profondamente umana attorno alla tavola, attorno alle feste, al lavoro, alla preghiera. Così l’Arca è un luogo di riconciliazione dove persone di religioni e culture molto diverse possano incontrarsi e questo trasforma la vita delle persone con disabilità, ma trasforma anche i volontari. L’Arca, in fondo, è un luogo di festa dove il fine è che tutti siano felici (…) Noi, qui, diciamo tutti che il fondamento dell’Arca è una relazione che trasforma e che diventa un segno per il mondo. In fondo, tutto il mistero del Vangelo è che Gesù faceva segni: segni di cosa? Segni che l’amore è più forte dell’odio, che l’amore è possibile. Noi vogliamo essere un segno dell’importanza delle persone disabili, perché hanno un messaggio da dare, ma pochi lo sanno: loro, infatti, sono stati scelti per essere i grandi testimoni di Dio”.
Le persone con handicap ci conducono a Dio
In occasione del Premio Templeton, sempre in una intervista alla Radio Vaticana, Jean Vanier aveva affermato: “Questo premio richiama l’attenzione sulle persone che hanno un handicap, e questo è importante. Infatti, l’aspetto particolare all’Arche, come a Fede e Luce, è la rivelazione per cui le persone con handicap mentale sono persone super! Non hanno sviluppato la mente, ma hanno cuore! Ed è necessario ricordare – perché purtroppo lo dimentichiamo troppo velocemente – che le persone con handicap per tantissimo tempo sono state considerate più o meno come una punizione di Dio, come una vergogna, e molto presto venivano rinchiuse in grandi istituti. C’è stata quindi una specie di rivoluzione: noi diciamo che, molto lontani dall’essere puniti da Dio, sono proprio loro che possono condurci a Dio, che ci possono portare ad essere più umani, più aperti, più affettuosi. Ora, il fatto che per questo ci sia un premio, aiuta le persone a riconoscere: guarda, lì forse c’è qualcosa che mi può riguardare da vicino”.
Chi ha compassione dell’altro è simile a Gesù
Jean Vanier ricordava l’importanza di vivere insieme: “Credo molto che oggi sia necessario creare delle comunità che vivano i valori del Vangelo: di vivere insieme, di vivere le Beatitudini e di scoprire che la vita delle Beatitudini, la vita del Vangelo può essere vissuta molto semplicemente vivendo insieme. Ecco, il messaggio del Vangelo è di diventare uomini e donne di compassione. Se tu diventi un uomo o una donna di compassione, sarai simile a Gesù”.
Il Vangelo della gioia
Un aspetto fondamentale che Jean Vanier indicava era la gioia, come aveva detto in un’altra intervista: “Penso che tutta la visione dell’evangelizzazione sia gioiosa, perché abbiamo ricevuto la Buona Novella! Il mondo non è solo un mondo di violenza, ma il Verbo si è fatto carne, Dio è venuto per dirci qualcosa. Dio ama l’umanità, Dio è presente. Questo non significa che non ci sia la lotta contro il male. C’è la violenza nel mondo; c’è la violenza in me e in noi tutti. Ma Gesù è più forte e conserviamo la speranza che Egli ci aiuti a crescere: questa è la fonte della gioia!”. E la gioia viene dallo stare insieme, ripeteva. L’amore non è solo fare qualcosa per qualcuno, ma stare con qualcuno: “Siamo nel mondo della comunicazione, ma non sempre in un mondo di presenza, nel senso che comunichiamo facilmente con smartphone, internet … I giovani sono abituati a molta comunicazione, ma spesso non alla presenza. Allora bisogna provare a ritrovarsi, perché ciò di cui le persone malate, quelle che si sentono sole, hanno bisogno è la presenza e l’amicizia”. E il nome della comunità ricorda proprio l’arca di Noè: ci si salva insieme, si è veramente felici solo insieme, mai da soli.
Amare è essere vulnerabili
In occasione della Giornata Mondiale del Malato del 2010, Jean Vanier ha parlato anche della propria fragilità: “La mia speranza e la mia preghiera è che quando arriverà per me il momento della debolezza, possa sempre accettare e rallegrarmi di ciò che mi viene dato. La vita umana inizia e termina nella fragilità. Durante tutta la nostra vita siamo avidi di sicurezza e dipendenti dalla tenerezza”. La vulnerabilità “si unisce a noi nel nostro presente e nel nostro futuro prossimo o lontano”. Come camminare, allora, verso un amore più grande senza diventare preda delle nostre paure? In modo semplice, diceva Vanier: accettando la nostra fragilità, perché “amare è essere vulnerabili”.