Arcabas Pellegrini Emmaus

Una stanza davvero particolare nella quale riconosciamo una porta aperta, una sedia caduta sul pavimento e un tavolo imbandito.
Sulla tavola, ci sono piatti e posate che profumano ancora di gustosi cibi; eleganti bicchieri forse ancora pieni di un vino versato da una bottiglia scura.

Una sorta di zuppiera coperta che forse contiene ancora il sapore di una pietanza saporita e profumata.
Le candele del candelabro a tre braccia sono state spente probabilmente da una folata di vento entrato dalla porta, aperta su una notte blu e luminosa perché piena di luci di stelle. La tovaglia bianca ed elegante è inondata su un lato di luce gialla brillante che contrasta con il lato opposto del tavolo, scuro e grigio. E proprio qui, la tovaglia è stropicciata, sgualcita, tirata.

I tovaglioli sono appallottolati e buttati: uno addirittura è caduto sui piedi della sedi.

Arcabas Pellegrini di Emmaus Il Ritorno 1993 – 1994 Chiesa della Resurrezione, Torre de’ Roveri (Bergamo)

Ma chi lascerebbe una tavola così? Una cena così? Chi è colui che alzandosi da tavola in maniera alquanto maldestra, fa cadere una sedia e non si ferma per raccoglierla da terra.

Tutto qui ci parla di una corsa, di una uscita frettolosa che non ammette un attimo di ripensamento.
Sono i gesti di chi porta nel cuore un messaggio così destabilizzante, davanti al quale nulla appare più così importante.

È la tavola lasciata da chi ha ricevuto una notizia spiazzante che non ammette nulla se non le parole “ora e subito”.
Questo dipinto, intitolato Il Ritorno, fa parte del ciclo pittorico detto dei Pellegrini di Emmaus e si trova nella chiesa della Resurrezione di Torre de’ Roveri in provincia di Bergamo realizzato da Arcabas, pseudonimo dell’artista francese Jean Marie Pirot.

La sua pittura è attraente non solo per l’utilizzo di colori caldi, luminosi, vivaci ed avvolgenti, ma anche perché c’è sempre un tentativo ben riuscito di tradurre la storia sacra in una narrazione contemporanea che ci faccia sentire tutti come parte dell’opera che stiamo osservando. Arcabas, infatti, manifesta con la pittura la narrazione delle Scritture coinvolgendoci nella vicenda come a dirci che anche noi siamo parte importante di tutto questo percorso.

Attraverso sei scene di grande impatto emotivo, Arcabas ci narra e ci coinvolge in uno dei racconti forse più belli dei Vangeli: l’incontro di Gesù, risorto, con due suoi amici che, tristi e delusi dalle vicende di Gerusalemme, fanno ritorno ad Emmaus.
Stanno percorrendo sconsolati quegli 11 chilometri, sentendo il peso di ogni passo perché il loro cuore è spezzato dalla morte di Gesù. Ma loro non sanno che durante quel cammino così faticoso, vivranno una delle avventure più significative della loro vita. Un incontro con un pellegrino speciale che apparentemente non conosce nulla di loro e di questo Gesù; una cena durante la quale sono disponibili ad aprire il loro cuore e i loro occhi per stringere una relazione con quel nuovo amico; un gesto, quel gesto e poi la scomparsa.

E ora non c’è più delusione, non c’è più stanchezza, non c’è più dolore, ma è il tempo del Ritorno a Gerusalemme per raccontare a tutti che “davvero il Signore è risorto” (Lc 24, 34). Il posto dove sedeva Gesù è ancora inondato di luce gialla, luminosa; la sua sedia è lì a testimoniarci che in ogni istante Lui siede alla tavola dei nostri giorni felici o più tristi, delle nostre vite piene di preoccupazioni e di impegni.

È vero, la nostra tovaglia è sgualcita, spiegazzata, un po’ ingrigita come i nostri sogni, i nostri progetti, i nostri propositi, le nostre fragilità di genitori, ma dall’altro capo del tavolo siede il nostro compagno di viaggio che ci ama così, proprio come siamo.
Nel vangelo di Luca non ci viene descritta questa stanza in cui i discepoli di Emmaus cenano con Gesù e anche Arcabas ci fa pensare che questo tavolo possa essere quello presente nelle nostre case perché Gesù abita nella casa e nella vita di chi lo invita ad entrare.

C’è silenzio in questa stanza avvolta dal profumo di una notte stellata, eppure il nostro cuore batte forte come quello dei pellegrini di Emmaus: è pieno di una gioia incontenibile che spezza il buio e asciuga i nostri occhi bagnati dalle lacrime delle nostre piccole o grandi crocifissioni quotidiane.

Commento

Se non ci fosse quella porta spalancata su una notte piena di stelle proverei inquietudine davanti a questa tavola, alla sedia rovesciata, al vuoto, alla mancanza…
Invece mi ispira una sensazione di pace. Si è consumata una cena importante, di festa: una tovaglia lunga, un candelabro, alti eleganti calici, vino, una zuppiera. Qui si è vissuto

qualcosa di bello, però ora non c’è più nessuno. Perché?
La porta spalancata mi dice che sono tutti usciti. La tavola abbandonata mi dice che avevano fretta. Il cielo stellato racconta che fuori li attendeva qualcosa di ancora più bello di quello che avevano vissuto dentro.
Se hanno vissuto scoperta, relazione, gioia, amore hanno sentito l’urgenza di riprendere il cammino della loro vita e portare agli amici, ai loro cari, a tutte le persone la notizia che si può vivere una vita così.
Viviamo in un contesto sociale occidentale, che non aiuta la relazione. Si parla di una “pandemia della solitudine”, di fenomeni diffusi quali il ritiro sociale, i sentimenti di tristezza e vuoto, che riguardano i giovanissimi (ma non solo) e se diventano patologici innescano altrettanto gravi problemi al confine corpo-mente.

Guardo questa tavola e vedo la difficoltà di conversare con i nostri figli adolescenti, far diventare la cena un vero momento di condivisione della giornata e della vita:
una missione quasi impossibile.
Per molte famiglie sembra addirittura impossibile consumare insieme un pasto al giorno, se non in una giornata festiva…e magari neppure in quella!

Da bambini e adulti pieni di entusiasmo ci si ritrova quasi estranei, silenziosi o insofferenti. Eppure vorremmo sapere dei nostri figli e magari dare qualche suggerimento dettato dalla nostra esperienza, cancellare espressioni tristi, rasserenare volti preoccupati. Se mettendoci a tavola anche noi facciamo sedere Gesù, nel senso che lo portiamo nel nostro cuore e nella nostra mente, perché ci guidi, se è con noi quando non capiamo i nostri figli, ma ascoltiamo anche i loro silenzi e non ci facciamo prendere dallo sconforto…allora comunque insieme a lui stiamo seminando.
La tavola, lo stare insieme ci ricorda la gioia data dalle piccole cose nella quotidianità ma che molto spesso non vediamo, non ce ne accorgiamo.
Ci sono tante belle cose che possono darci gioia, piccole, semplici. I due discepoli ci ricordano che bisogna avere il cuore e gli occhi attenti.
Il cielo stellato ci ricorda che c’è una bellezza più grande di noi che ci avvolge. E che aspetta di essere vista.
Come sarebbe bello Signore, anche quando arriviamo in chiesa la domenica con una pesante bisaccia di tristezza, con fragilità e problemi, offrirti pane di festa, che tu trasformi in pane di vita e dopo averti incontrato uscire di fretta, con cuore di pellegrini verso le nostre case e poi lungo le strade del mondo per portare un annuncio di gioia e di amore a chi è assetato di vita.

Alla luce della Pasqua appena celebrata, mi chiedo: “Come mai io che ogni domenica partecipo alla Pasqua settimanale e quindi allo spezzare della Parola e del Pane non sento l’esigenza di correre piena di gioia vera verso chi mi circonda quotidianamente?

Forse la vita a volte ci schiaccia a tal punto che ci sentiamo traditi, a volte la vita promette e non mantiene, ci si alza già stanchi come erano quei due pellegrini di Emmaus…e poi perché devo essere io a correre dagli altri?
In realtà spesso non facciamo memoria di quel Tale, che ha spezzato il pane davanti a loro e gli ha fatto ardere il cuore mentre camminavano, che è la stessa persona, il Vivente che

lavora per me, per noi anche oggi, che sta al nostro fianco, che è più forte del male, che è lì che ci dà la forza se voglio sfidare la morte di ogni giorno, perché Lui ha già vinto per me, per ognuno di noi.

Davvero se riusciremo a fermarci, a ricordare, ad aprire gli occhi e le orecchie, il cuore arderà e saremo colti da un istinto irrefrenabile di correre verso gli altri portando la notizia più gioiosa che si possa dare: “Possiamo ballare anche sotto la pioggia, perché il Signore ha vinto la morte e quindi è possibile affrontare con fiducia anche i momenti più bui della nostra vita, perché Lui è lì e non ci molla mai!”