Natività a Betlemme (Naissance à Bethléem) Arcabas

Bruxelles, Palais archiépiscopal de Malines, (1995 – 1997) Olio su tela - 87 x 106

Una madre protegge il figlio, un padre regge una candela accesa e veglia entrambi; tre angeli contemplano sereni il bambino appena nato, mentre il calore dell‟asino e del bue riscalda il letto di paglia dove madre e figlio sono adagiati. E‟ una scena di grande realismo, una scena che appartiene alla quotidianità. E‟ un evento del tutto umano che attira immediatamente lo sguardo e i sentimenti dello spettatore attraverso colori accesi ma insieme pacificanti, figure serene e rassicuranti.

 

Eppure la „Natività a Betlemme‟ di Arcabas è tutt‟altro che un idilliaco quadretto sul Natale. Il pittore gioca magistralmente tra il figurativo (volti precisi, immagini nitide) e l‟astratto (volti indefiniti, differenti fonti di luce); utilizzando colori semplici, ma carichi di significati, egli invita a soffermarsi per cogliere la profondità del messaggio. Lui, Arcabas, uomo di poche parole, da sempre lascia alla pittura il compito di esprimere la „Parola‟ fatta carne.

Addentrandoci nel dipinto, scopriamo infatti che esso parla di una realtà ben più profonda e meno rasserenante di quella che potremmo cogliere ad un primo sguardo.

Il dipinto ci parla di una casa provvisoria, con un letto fatto solamente di paglia per dormire. Una paglia che nel suo intreccio richiama la corona di spine che Gesù – Re dei giudei – porterà sul capo sino al Golgota; già in questo segno si mette in stretto legame l‟incarnazione e la redenzione, come spesso la riflessione teologica e le opere sulla natività hanno evidenziato nei secoli.. I vangeli infatti narrano come già nella nascita si celano i prodromi della passione.

Il messaggio del quadro si colloca su più livelli: uno più immediato e uno più profondo, ma anche uno storico (la nascita di Gesù) e uno attuale (la nostra fede nel mistero dell‟Incarnazione). Questi livelli sono richiamati in diversi modi. Due sono le fonti di luce: il volto del bambino, che illumina la madre, e la luce della candela, che illumina l‟uomo che la tiene tra le mani (con un evidente richiamo ai quadri del maestro del chiaroscuro Georges De La Tour); due sono anche i piani della scena su cui si stagliano i personaggi.

Infine, due sono le coordinate, orizzontale e verticale, che definiscono lo spazio del quadro, come anche le linee che delimitano i colori dello sfondo e che richiamano il simbolo della croce.

La luce

Al primo impatto il quadro colpisce per il suo luminismo, fatto di un‟esplosione di colori e luci che attira il nostro sguardo. Notte e giorno si incontrano. La notte della Natività è illuminata a giorno dalla luce dell‟Emmanuele, mentre l‟oscurità della strada su cui si incammina il personaggio in primo piano è rischiarata dalla semplice ma forte luce della candela.

Madre e Figlio

Rischiarata dalla luce che proviene dal volto del Figlio e dal coro degli angeli che „stanno alla finestra del cielo‟ per contemplare questo evento, Maria è sdraiata e giace nella mangiatoia. A differenza della consueta iconografia della Natività, la madre e il Figlio sono entrambi addormentati sulla mangiatoia; la madre è unita al Figlio e lo protegge con un tenerissimo gesto della mano che si adagia delicatamente sul volto del bambino. Maria assume sembianze molto attuali, che invitano all‟identificazione. Sì, Maria è una donna dei nostri giorni. Gesù nasce oggi e assume la carne di ognuno di noi, la storia e la cultura che ci appartengono.

 

I tre angeli che scendono dal cielo per ammirare il figlio di Dio appena nato (tre come gli ordini di angeli generalmente raffigurati nelle icone) disegnano un fuoco, con tre fiammelle che formano un braciere, e ci ricordano lo Spirito della Annunciazione e della Pentecoste.

Il piccolo angelo che si affaccia è un evidente omaggio al più famoso dipinto da Raffaello.

Il personaggio in primo piano

Il personaggio in primo piano, assai enigmatico e capace di rompere inizialmente l‟armonia del dipinto e la delicatezza della scena, non è identificabile con immediatezza. Se il nostro immaginario – così come la critica – tende correttamente ad identificarlo con Giuseppe, certamente il volto indefinito e il corpo dai lineamenti imprecisi ci dicono qualcosa di più.

Giuseppe porta tra le mani una candela accesa; il suo gesto esprime la necessità di custodirla e ripararla dal vento e della intemperie perché non si spenga. Immediato è il parallelo con le mani di Maria che custodiscono e proteggono Gesù. Arcabas mette in stretta relazione la luce e il bambino (“Luce per illuminare le genti”) in un continuo richiamo tra le due immagini. Come Maria custodisce Gesù, fragile, così Giuseppe ripara la fragile luce del Dio fatto uomo. In questa metafora esprime la sua responsabilità verso il figlio appena nato, il Dio con noi che facendosi uomo non ha rifiutato la fatica, le difficoltà del vivere terreno, ma ha accolto per intero la storia umana e anche i passaggi tortuosi di ogni stagione della vita. Sì, tutto sembra segnato dalla fragilità, anche il Dio fatto uomo.

Quella del dipinto è una luce capace di illuminare in profondità, di rischiarare la strada che si apre davanti a noi. E‟ dunque la luce della fede che siamo chiamati a custodire e lasciare risplendere perché rischiari noi e la strada della vita. Il buio alle spalle di Giuseppe non fa paura perché la sua stessa vita è rischiarata da quella luce.

Come non vedere in questo gesto il richiamo alla candela accesa che viene donata ad ogni papà nella celebrazione del battesimo dei propri figli?

Allora in quel personaggio indefinito possiamo riconoscere ogni uomo ed identificarci in lui. È un uomo come tanti, con i lineamenti appesantiti da un uniforme colore arancio/marrone, fatto di materia densa, terrosa, segno di una concretezza a cui il chiaroscuro aggiunge l‟espressione delle ombre e delle luci della sua esistenza. Cammina in punta di piedi e nella notte si fa anche lui personaggio/testimone di luce, tenero e responsabile. E‟ segno di un cristianesimo che non si ferma lì (alla nascita del Figlio di Dio), ma che, a partire da lì, sa assumersi la responsabilità dell‟evento (l‟Incarnazione) e incamminarsi nella storia sapendo che essa è già rischiarata e salvata da Dio.

L’autore

Jean-Marie Pirot, Arcabas, è nato nel 1926 in Lorena (Francia) da madre tedesca e papà francese. Diplomato alla Scuola di Belle Arti (Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts) a Parigi, ha fatto numerose mostre in Francia (Parigi, Lione, Grenoble, Marsiglia, Strasburgo, …) e all’estero (Berlino,

 

Francoforte, Bruxelles, Bruges , Ostenda, Lussemburgo, Bergamo, Ottawa, Panama, …). Le sue opere si trovano in Europa, così come in Canada, Giappone, USA, Messico, … in diverse gallerie pubbliche (Museo di Grenoble, la Biblioteca Nazionale di Parigi, la Pinacoteca Internazionale di Waterloo, l’Università di Ottawa, a Cuernavaca, Messico ) e in collezioni private.

Ha lavorato spesso su commissione del Governo francese e le autorità locali (mosaici, affreschi, vetrate), ma il suo grande successo è l‟Ensemble d‟art sacré contemporain nella chiesa di Saint Hugues de Chartreuse, iniziato nel 1953 e completato nel 1986, che in seguito è stato donato al Département de l’Isère, come parte del patrimonio culturale. Quest‟opera è nota a livello internazionale tanto è vero che ogni anno la chiesa è meta di circa 100.000 visitatori.

In campo teatrale, dal 1961 al 1972, ha creato le scene e i costumi di alcuni famosi spettacoli (The Dance of Death di Strindberg, The Diary of a country priest di Bernanos,..).
Dal 1950 al 1969, ha ricoperto la cattedra di pittura e guidato un corso di arte plastica all’Accademia di Belle Arti di Grenoble. Furono proprio i suoi studenti a inventare questo strano soprannome, Arcabas, che lui adottò per se stesso e con il quale dal 1971 ha iniziato a firmare le sue opere.

Dal 1969 al 1972, come artista ospite del National Arts Council of Canada e professore presso l’Università di Ottawa, ha fondato e diretto l‟Experimental Collective Workshop.
Al suo ritorno in Francia, ha fondato e diretto il laboratorio di arte plastica In praise of the Hand presso l’Università delle Scienze Sociali di Grenoble.

Dal 1986, Arcabas vive e lavora a Saint Pierre de Chartreuse (Isère).

Arcabas è un artista completo poiché si esprime non solo attraverso la pittura, ma anche utilizzando il disegno, l‟incisione, la scultura. Crea vetrate, arazzi e perfino piastrelle.
Il punto fondamentale e comune a tutti i suoi “lavori” è: giocare con il colore per rivelare la bellezza nella materia.
Per Arcabas la bellezza è inseparabile dal suo cammino di fede.

“In tutti i miei tentativi di dipingere, dice Arcabas, cerco di far emergere la bellezza. Spero che chi avrà lo sguardo per coglierla, possa esserne trasformato. La bellezza infatti può condurre alla fede e la bellezza è un elemento della fede in Dio”.

A 80 anni, libero da tanti pregiudizi, Arcabas continua a proporre la sua personale lettura dei Vangeli.

“Io sono un appassionato della Bibbia e del Nuovo Testamento. Mi ci immergo più volte durante la settimana. Quando ho una tela da dipingere, attingo dal capitolo che mi ispira di più in quel momento. Il sacro non può essere comandato e per me, il profano non esiste. Quando prendo una tela, faccio come il contadino che disegna una croce sulla sua pagnotta prima di spezzarla. Anche se io dipingo carciofi, la mia tela è posta sotto la croce di Cristo. Tutto è sacro, è così semplice da capire.
Io lavoro per tutte le persone che sono alla ricerca di qualcosa e di se stessi. Non solo per i Cattolici, coloro che credono. In questo mi sento in sintonia con Gesù che ha detto nei Vangeli di non essere venuto per i sani, ma per gli ammalati”.

Attraverso queste parole Arcabas riassume la sua idea di opera d‟arte e di artista:

Mi sono assunto il rischio di chiamarmi pittore ed infatti dipingo dieci ore al giorno, 250 giorni all’anno. I circa 100 rimanenti sono occupati da passeggiate, da distrazioni e dall’ostinata ricerca di una “coscienza dell’essere”, all’improvviso perduta, e senza la quale niente è possibile, soprattutto l’appassionata e spesso rischiosa creazione di quella sorta di specchi che chiamiamo opere d’arte.

 

Diciamo che ogni persona si rivela nei pensieri e nelle azioni che, se ha buona vista, come in uno specchio, le vengono restituiti, rivelando la loro vera identità.
In questa direzione un’opera d’arte fornisce un buon esempio: come uno specchio per il suo creatore, possiede l’ulteriore capacità di rivelare in modo discreto, ma sicuro, l’intera creazione.

I giorni senza ispirazione sono giorni bui. Ci ricordano costantemente, come fa l’autore dell’Ecclesiaste, che tutto è polvere e ritorna polvere. Questa considerazione uccide ogni forma di gioia e di speranza. Ma guardando più da vicino, questa realtà ne nasconde un’altra assiomatica: questa polvere cosmica, più o meno coagulata e più o meno assemblata in forme diverse, racchiude al suo interno lo Spirito dell’Universo.

Docile ed amichevole, questo mezzo divino può tuttavia essere sviato, allontanato e reso diabolico. Ma, se catturato nella sua naturale unità, offre la chiarezza fosforescente del significato e scorre, arricchito, come un fiume incandescente verso un destino più grande, una nuova forma di Creazione.
Questo è, per eccellenza, quel rozzo materiale, fatto di Terra e di Cielo, usato dagli artisti, questi schietti e aperti imitatori, ai quali, ne sono certo, Dio offre il Suo sorriso e la Sua tenerezza.

La preghiera della luce

Dio, che in principio dicesti: “sia la luce”
fa‟ che i nostri occhi esultino per tutte le cose belle.
fa‟ che ogni persona accolga e veda la tua luce
fa‟ che la luce del tuo Vangelo percorra tutta la terra
fa‟ che siamo in comunione gli uni con gli altri
fa‟ che tutti i popoli camminino nella verità e nella giustizia
Signore, Tu sei la mia luce: senza di te cammino nelle tenebre
senza di Te non posso neppure fare un passo, senza di te non so dove vado, sono un cieco che guida un altro cieco.
Se Tu mi apri gli occhi, Signore, io vedrò la tua luce,
i miei piedi cammineranno nella via della vita. .
Signore, se Tu illuminerai, io potrò illuminare
Tu fai di noi la luce del mondo.